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Polemiche estive: #jovabeachparty, il WWF e quattro pulcini

Ho conosciuto per la prima volta il WWF a dodici anni, quando qualcuno mi ha regalato per il compleanno un peluche a forma di panda (ma pensa!): ho scoperto così che alcune specie erano in via d’estinzione, e che c’era qualcuno che lottava perché ciò non avvenisse. Oggi che il panda sia un animale a rischio lo sappiamo tutti, grazie anche al logo così famoso del WWF, eppure, sono tante le specie che ogni anno, ogni giorno, rischiano di scomparire dal nostro pianeta.

Una di queste è il fratino, un trampoliere piccino, con le lunghe zampe e il colore delle piume simile alla sabbia, luogo in cui questo furbetto nidifica. Immagina cosa vuol dire fare il nido in spiaggia, d’estate, e pensa tutti i pericoli in cui può incorrere il pulcino e avrai la risposta al perché il fratino sia una specie a rischio d’estinzione in Italia (ce ne sono meno di 700 esemplari!).

Di tutti i pericoli che circondano il fratino uno è sicuramente singolare, e prende il nome di Jova Beach Party (o meglio #jovabeachparty).

Vi dice niente?

 

#jovabeachparty : un concerto “ambientalista”?

Il megatour di Lorenzo Cherubini sceglie come location per il 2019 i litorali di alcune spiagge italiane, “per immergersi nella cornice spettacolare offerta dalla natura” – così viene detto. E c’è una partnership con il WWF Italia che assicura la sensibilizzazione verso il riciclo – in particolare della plastica – e il rispetto ambientale dell’area in cui il concerto si terrà. Ci sono persino i “volontari” Beach Angels che puliscono le spiagge dopo il concerto…

Tutto bello, i fan di Jovanotti che sono cresciuti tra “L’ombelico del mondo” e “Il più grande spettacolo dopo il Big Bang” plaudono alla partnership e si rallegrano che il loro mito sia così impegnato nella tutela dell’ambiente.

Peccato che sia una fregatura, una vera e propria operazione di “greenwashing” che con l’ambientalismo vero ha ben poco a che fare. Che il buon Jova sia in buona fede non sta a me giudicarlo in questa sede, anche se due chiacchiere con i manager e lo staff organizzativo del #jovabeachparty la farei volentieri. Il problema è che non possiamo più limitarci a mettere un like su Facebook e a condividere le immagini di Greta Thurnberg, se vogliamo davvero occuparci di ambiente. Dunque, cosa c’è dietro il #jovabeachparty e perché ha scatenato tante polemiche?

 

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Partiamo dalle parole di Danilo Selvaggi, Direttore generale della LIPU, una delle organizzazioni ambientaliste che ha preso il problema più seriamente, a pochi giorni dall’inizio del tour.

Forte è la preoccupazione relativa ai casi di Vasto e Lido degli Estensi, così come a quello di Cerveteri, una localizzazione ottenuta in alternativa al delicatissimo sito del Monumento naturale di Torre Flavia. […] In generale, in molti dei siti del tour di Jovanotti è in gioco il futuro di uno degli ambienti naturali più fragili che esistano nel nostro Paese e delle specie che lo frequentano. Jovanotti può suonare sulle spiagge ma il fratino non può nidificare nei palasport: se non si coglie questa asimmetria, applicabile a molti altri casi di pressione antropica, non si capisce il dramma che in generale la natura sta vivendo e la richiesta di aiuto che in mille modi ci invia, alla quale davvero nessuno può più sottrarsi.

La scelta di suonare in location “naturali” non è nuova: è dal 1995 che si è presa questa bella abitudine, dai concerti in alta quota (ma almeno si trattava di Bach!) a quelli di Marco Mengoni. Nonostante una serie di regolamenti e normative potrebbero impedire queste manifestazioni, chissà come mai si trova sempre il modo di aggirarle. Si può parlare di cecità delle amministrazioni, di disinformazione del pubblico e dei cantanti, mettetela come volete: alla fine i soldi, il business e le opportunità del presente hanno sempre la meglio su una visione futura di rispetto e tutela.

Contro la scelta di questi habitat naturali come location di mega concerti- parliamo  di nuovo del#jovabeachparty- si era schierata da tempo più di un’associazione ambientalista, alcune delle quali molto note: la Lipu (Lega italiana protezione uccelli), AsOER (Ass. Ornitologica dell’Emilia-Romagna), Fondazione Cetacea RiccioneItalia Nostra Rimini e Legambiente, tanto per citare solo quelle che hanno coinvolto il litorale romagnolo. Clamorosa quindi l’assenza, e peggio ancora la sbandierata partnership con il WWF Italia, nonostante le sezioni locali avessero espresso forti dubbi in tal senso.

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Mentre le associazioni ambientaliste presentavano esposti per rinviare o spostare altrove il concerto, il WWF Italia (e Jovanotti) incoraggiavano sui social a fare la raccolta differenziata, a lasciare “più pulito di prima” – cosa non difficile visto il numero di scavatori presenti – senza capire esattamente cosa volesse dire “pulito”, visto che prima dell’arrivo delle ruspe e poi di 45.000 persone le dune sabbiose e i fratini stavano benissimo.

Addirittura il presidente dell’ASOER Roberto Tinarelli si è visto costretto a rispondere per le rime proprio al WWF Italia, accusata di tirare in ballo (speriamo solo in buona fede) i volontari dell’ASOER e di altre associazioni che presidiavano i nidi di fratino per proteggerli in questo frangente così delicato.

 

 Si tratta solo di quattro pulcini? 

No, purtroppo. Se pensate sia solo una questione legata a “quattro pulcini di fratino” vi sbagliate. Le associazioni ambientaliste, e i report post #jovabeachparty parlano chiaro: nella migliore delle ipotesi si tratta anche di traffico, gas di scarico delle auto (45.000 persone non saranno venute tutte in treno, no?), problemi di circolazione. Ostacoli risolvibili, sicuramente, ma se aggiungiamo i decibel deflagrati per ore dalle casse acustiche, i giorni in cui le ruspe e gli operai hanno montato e smontato il palco, l’enorme mole di rifiuti prodotti (perché riciclare non vuol dire far sparire magicamente, caro Jova), allora la domanda è sempre quella: ne valeva la pena? 

Per Jovanotti sicuramente sì, visto che dal suo profilo Facebook riprende la questione, ammettendo alcuni errori, ma parlando di “figata pazzesca”, “una visione che ho maturato lungo tutto l’arco di oltre 35 anni di musica e di performance live”.

Io non sono una fan di Jovanotti, e lo ammetto consapevole di attirarmi gli strali di buona parte della popolazione: ma se anche lo fossi davvero vogliamo credere che in 35 anni di “visioni” il cantante non sia riuscito a produrre di meglio che questo scempio ambientale? Se parliamo della signora Pina di Castelvetrano, io posso anche scusare una certa ignoranza, e non faccio fatica a credere che la sua coscienza si senta già a posto quando separa la carta dal vetro e raccoglie le pile esaurite.

Ma se sei Jovanotti, un personaggio pubblico con milioni di follower e un’immagine di ambientalista costruita a tavolino allora no, non lo posso perdonare. Così come non posso perdonare WWF Italia, fosse anche solo per il nome che porta e l’enorme responsabilità verso i suoi sostenitori.

Non sono solo io, ovviamente, a pensarla così. Se qualche fan inviperito ha accusato le associazioni ambientaliste di essere troppo bacchettone, infatti, proprio WWF Italia è stata accusata di aver “tradito la sua base” ed è stata lanciata una petizione che chiede addirittura le dimissioni della presidente, Donatella Bianchi. Le firme non sono tante ma il gesto è importante, perché segna una frattura, uno scollamento tra i valori portati avanti dall’ente e la sua adesione a un evento controverso come il #jovabeachparty.

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Nell’ultimo post invitavo gli enti a schierarsi, a gridare a voce alta i propri valori.

Oggi il mio pensiero va invece a chi i propri valori li ha sempre sbandierati con convinzione. A loro dico: siate coerenti. Non vi svendete in nome dei soldi, della notorietà, della possibilità di attrarre nuovi fan.

Perché il risultato sarà l’opposto.

Forse qualche Jovadipendente andrà a dormire convinto che la sua partecipazione al concerto sia stata davvero a “impatto zero”, ma non vi donerà mai un euro. Al contrario, i vostri donatori affezionati, quelli che leggono e si informano, si potrebbero sentire delusi, traditi nella fiducia che hanno riposto in voi. E recuperare un donatore amareggiato, caro WWF Italia, è molto, molto difficile.

Ne vale la pena, solo per un #jovabeachparty?

 

4 commenti

  1. Elena Zanella

    Mi è piaciuta molto l’espressione del presidente di Lipu: “Jovanotti può suonare sulle spiagge ma il fratino non può nidificare nei palasport”. Ecco, solo questa considerazione presa da sola dovrebbe far riflettere attentamente il management di WWF sulle scelte prese e quanto queste scelte influiranno negativamente sulla loro reputazione. Che non abbiano pensato alle conseguenze prima di esporsi in questo modo, mi pare davvero strano perché lo trovo un peccato di ingenuità. Temo invece abbiano pesato costi e benefici e che nella loro testa, i secondi siano stati maggiori dei primi. Sarebbe interessante saperne di più in merito. Certo è che le conseguenze di questa esposizione non tarderanno ad arrivare.

    • Federica Maltese

      La cosa che a me ha colpito molto è che invece di “scusarsi” o perlomeno capire i dubbi dei loro sostenitori il WWF Italia abbia continuato (almeno sui social) a difendere la posizione…una gestione della crisi che non è proprio da manuale, ecco.

  2. eleonora terrile

    D’accordo con te, Federica.
    Tradire noi stessi e i nostri valori significa anche tradire chi ha creduto e crede in noi. E questo è il caso di WWF Italia e dei suoi sostenitori.
    Peccato. Uno scivolone davvero non da poco.

    • Federica Maltese

      Grazie Eleonora! Speriamo che si muova qualcosa, che sia l’occasione per riflettere con più consapevolezza, senza ignorare i moniti che arrivano dal basso…

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