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Fundraising internazionale, da dove comincio?

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Se il fundraising è un settore ancora in crescita in Italia, si può certamente dire che il fundraising internazionale sia un ambito pioneristico. O meglio: molte organizzazioni non profit italiane puntano a raccogliere fondi al di là dei confini nazionali, ma non sono molte le figure professionali specializzate sul tema del fundraising internazionale.

Per quel che mi riguarda, se c’è amore più grande di quello per la raccolta fondi è sicuramente quello per l’ambito internazionale. Sono una conclamata esterofila e il mio lavoro mi permette di unire due grandi passioni. Così, da quando ho iniziato a occuparmi di raccolta fondi all’estero, sono entusiasta, strafelice e non risparmio energie per cercare confronti con colleghi e addetti ai lavori.

Ho trovato la consueta disponibilità a condividere saperi, a sorridere delle fatiche quotidiane e anche a elargire ogni tipo di know how. Una miniera di risorse insomma.

Dopo vari confronti e dopo cinque mesi di lavoro, ho pensato di mettere nero su bianco alcuni punti fermi di cui, chiunque voglia affacciarsi al mondo della raccolta fondi all’estero, dovrebbe tenere conto. Propongo qui un elenco che non vuole essere esaustivo, ma utile a muovere i primi passi.

La questione tempo

Lo sanno bene i fundraiser, senza soldi e senza tempo la raccolta fondi difficilmente andrà a buon fine. Coincidenze fortuite a parte. E se per qualche occulta ragione dovesse venirci in mente: ‘Nord Europa e Stati Uniti – per nominarne un paio – sulla raccolta fondi sono più consapevoli e avanti, e per questo motivo pianificare e concretizzare il fundraising internazionale sarà molto più facile e veloce. Beh!, dimentichiamo subito l’audace pensiero perché è vero, semmai, il contrario. Accedere ai fondi esteri, per una ONP che lo fa per la prima volta richiede tempo. Per raccogliere i primi acerbi frutti del proprio disciplinato lavoro dovremo aspettare almeno un anno.

Tematiche legate all’internazionalizzazione

fundrasing-internazionaleAttraversare i confini italiani per instaurare partnership e ottenere donazioni non significa solo pianificare una raccolta fondi con tanto di obiettivi, strategie per raggiungerli e tabella dei range . Il fundraising internazionale, infatti, porta con sé una serie di tematiche e domande che il fundraiser non dovrebbe sottovalutare. In primis, il linguaggio che la nostra ONP utilizza per relazionarsi con donatori italiani può essere lo stesso che useremo all’estero? E l’immagine che nel ‘mercato’ nazionale è molto consolidata (cosa che diamo per scontata, altrimenti non si intravede valida ragione per cui si dovrebbe pensare a un fundraising oltralpe e oltreoceano) all’estero sarebbe altrettanto riconosciuta? I competitor stranieri sono più aggressivi di quelli italiani?
E ancora: la struttura professionale che ruoterà attorno alla ricerca di fondi nei Paesi prescelti è preparata a interagire in una modalità probabilmente molto diversa da quella a cui si è abituati? La comunicazione, sia online che offline, è adeguata a un mondo che potrebbe risultare distante dal proprio quotidiano?

Fundraising internazionale: aspetti tecnici

Paese che vai Legge che trovi.
A prescindere, infatti, dagli aspetti tecnici più ovvi come la traduzione dei documenti ufficiali – pensiamo allo Statuto, al Bilancio, a un Rapporto annuo e a tutta la documentazione ‘fisiologica’ della ONP – occorre tener presente che anche all’estero la detrazione fiscale è una leva fondamentale per le donazioni. Per fare un paio di esempi: se vogliamo attraversare l’Oceano e chiedere fondi a stelle e strisce sarà inevitabile pensare all’apertura di una sede legale da registrare come 501(c)1 charity, secondo il Governo Federale dello Stato americano. Oppure optare per l’apertura di un fondo (ad esempio presso il King Badouin Foundation) che garantisce ai donatori americani le stesse agevolazioni fiscali applicabili a una donazione ‘homemade’. Lo stesso discorso vale per il vecchio continente, anche qui è necessario informarsi e muoversi di conseguenza.

Altro aspetto tecnico è l’acquisto di alcuni collettori di fondazioni – ipotizzando che si voglia puntare ai grant e non agli individui privati da subito -. Dal più conosciuto Foundation Center a Fadica che mette insieme solo fondazioni cattoliche, o ancora a FundsforNgo che risponde a esigenze molto diverse tra loro, organizzando tra l’altro validissimi webinar. Tutti sono fonte di informazioni che consentono un più profondo contatto con la filantropia del Paese scelto, nonché una più mirata e veloce profilazione dei prospect.

Lungimiranza, ma non troppo

Guardare avanti mentre la falegnameria quotidiana costruisce ponti e non tavoli a cui sedersi da subito. Questo può essere complicato, per il fundraiser, ma anche per chi lavora all’interno della ONP e per il Consiglio di Amministrazione. Dobbiamo essere bravi a individuare il terreno fertile, ma dobbiamo avere la pazienza di vedere crescere quello che abbiamo seminato.

Questo non equivale a navigare a vista. Dobbiamo sapere dove vogliamo andare e dove stiamo andando, monitorando le energie investite e i risultati che stiamo ottenendo. Per esempio, potrebbe servire un anno perché tutta la cura di quel contatto, la cui cosiddetta CIA – Collegamento Interesse Abilità –  super positiva porti risultati, e lo faccia diventare per noi una Key People. Però vigiliamo sul fatto che stia rispondendo bene alle nostre mosse, naturalmente pianificate ad hoc.
Puntiamo all’orizzonte insomma, ma non dimentichiamoci le albe e i tramonti quotidiani.

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