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Fundraising: perché dobbiamo partire da zero

Questa sera il Gruppo Territoriale del Piemonte di Assif (Associazione Italiana Fundraiser) ha ospitato una tappa del “Tour del Fundraising” del Prof. Melandri. La sala del Collegio Einaudi che accoglie la Biblioteca del Fundraising era piena, perché il nome di Valerio Melandri è noto persino ai non addetti ai lavori (d’altra parte, a lui dobbiamo lui sia il Master sia il Festival del Fundraising, e non è poco!).

Ho visto tanti volti nuovi, giovani e meno giovani, sicuramente desiderosi di capire “che cosa diavolo fosse questo faundraising”, ma mi ha fatto piacere vedere anche molti colleghi di Assif e diversi amici che lavorano nel mondo della raccolta fondi da anni: certo, ascoltare Melandri è sempre una bella opportunità, ma – mi sono chiesta – cosa si può (ancora) imparare da un incontro che ha per focus le basi e i rudimenti del fundraising?

Insomma, non si è trattato di un workshop sulla lead generation, o sulle nuove prospettive dei lasciti testamentari – incontri che pure sono necessari per stare al passo con i tempi, capirne gli sviluppi e le opportunità. Dunque perché un fundraiser che lavora da anni ha ancora bisogno di sentir parlare della Piramide dei Donatori o dell’importanza di coinvolgere il proprio CdA? La risposta che mi sono data in realtà è piuttosto semplice.

 

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Cerchiamo un centro di gravità permanente

Lo cantava Battiato, ma in fondo siamo tutti nella stessa situazione, anche da un punto di vista professionale. Ammetto che ascoltando il prof. Melandri parlare dell’importanza di usare il “VOI- donatore” invece del “NOI-associazione” mi sono trovata a pensare alle ultime lettere in partenza, agli ultimi post, alle ultime mail. Quante volte avevamo dimenticato di mettere il donatore al centro, scivolando nell’autocompiacimento e nel “guarda quanto siamo bravi a fare quel che facciamo”? Non troppe per fortuna, ma sicuramente più di quanto avremmo dovuto.

Il fatto è che purtroppo un fundraiser che lavora in una piccola-media ONP spesso fa da solo il lavoro di un intero ufficio fundraising di una ONP più strutturata. Si occupa del mailing, dell’e-mailing, del database, degli eventi, delle bomboniere solidali, dei banchetti e delle interminabili riunioni con presidente e consiglieri da convincere o dissuadere. E’ quindi inevitabile, direi persino fisiologico, che ogni tanto si perdano di vista alcune cose – per quanto importanti! A volte, anche solo per quieto vivere, si cede al gadget anni ’90, alla pubblicità sul giornale locale, al sito in flash fatto dal cuggino. E ci sentiamo in colpa, sì, ma non ci sembra di avere molta scelta.

Ecco perché abbiamo bisogno di incontri come questo, per ritornare in ufficio provando a riportare l’attenzione a ciò che è davvero importante: la relazione con il donatore (soprattutto con quei pochi che donano molto!), l’analisi del nostro data base per rendere le nostre azioni sempre più efficaci ed efficienti, l‘uso consapevole e mirato della comunicazione online e offline.

Purtroppo i grandi assenti sono sempre i vari presidenti e consiglieri – ma quanti, tra i fundraiser presenti, li hanno invitati? Io, per esempio, sono stata la prima a pensare che non sarebbe venuto nessuno, ma ho palesemente sbagliato a darlo per scontato! Per lavoro siamo abituati a chiedere…perché non farlo anche con il nostro CdA, una volta tanto? Chissà che dopo aver sentito un guru del fundraising affermare cose che i suoi fundraiser gli ripetono da anni non si convincano a cambiare prospettive?

 

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E quindi?

Quindi torno a casa con la voglia di rimettermi subito al lavoro (anche se la maternità mi terrà buona a casa ancora per un po’), ma soprattutto con la profonda consapevolezza che è necessario, ogni tanto, ritornare alle basi. Perché non tutte le ONP possono permettersi grandi investimenti per fare pubblicità in TV ma tutte – proprio tutte! – possono coltivare la relazione con i proprio donatori, in un modo che sia il più possibile personale. Perché non tutte le ONP possono mandare un milione di lettere per Natale, ma tutte – proprio tutte! – possono scrivere lettere facendo sentire importanti i propri sostenitori. Perché non tutte le ONP possono permettersi advertising da milioni di euro, ma tutte – proprio tutte! – possono lavorare alla propria rete di contatti, coinvolgendo il CdA, i volontari e gli stessi donatori.

Insomma, torno a casa con la consapevolezza che a volte – anche con le migliori intenzioni – si rischia di perdere di vista il proprio obiettivo, che è poi quello di rendere sostenibile economicamente l’ente non profit per cui lavoriamo. Ecco perché per Natale bisognerebbe regalare ai vari presidenti e consiglieri un libro o un corso sul fundraising: perché ci aiutino nel nostro lavoro, diventando loro i primi fundraiser!

Che ne dite, è una buona idea?

 

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